RICORDO DI VITO FRAZZI
di Clemente Terni


Se vi è un musicista che può essere messo fra parentesi nella crisi musicale del Novecento Italiano, questi è Vito Frazzi: né ha rappresentato un dramma nel dramma, né si è mai fermato ad un crocicchio per sacrificare all'Hermes di moda. La sicurezza del linguaggio lo serenava e lo rendeva libero, fornendogli quella tranquillità e quella gioia di vivere che lo facevano sorridere anche di fronte al Diavolo tentato del radiodramma omonimo di Papini, del quale aveva composto il commento musicale. Penso che sia proprio per questa singolare posizione che chiunque si accinga a tracciare un profilo storico della poesia del linguaggio musicale del '900 debba occuparsi di lui con particolare attenzione. Egli appartiene al novero dei musicisti che hanno creduto in modo inequivocabile nella distinzione fra mezzo espressivo e espressione, continuando così a considerare separate e correlate scuola e creazione nel senso più ampio, ma collocando anche il primo, il mezzo espressivo, nell'ambito della poesia. Proprio per questo non esiterei a definirlo l'ultimo poeta del sistema tonale. La sua scuola può essere ritenuta una delle ultime "botteghe" musicali, dove si acquisivano certezze e mestiere. In essa l'elemento vivacizzante era il frequente tuffo nel passato, tutto il passato - non si dimentichi che Frazzi aveva effettuato i suoi studi nel Conservatorio di Parma, dove la presenza di Giovanni Tebaldini, noto studioso di canto gregoriano e di polifonia, era in particolar modo stimolante -. II suo interesse per l'espressione musicale si fermava alle soglie dell'irrazionale, soprattutto in riferimento all'organizzazione sonora; ciò non toglie, però, che sarebbe stato disposto a seguire una qualsiasi esperienza dell'"irrazionalità" se l'ascolto l'avesse convinto, rientrando così nell'alveo della grande tradizione del "buon sentire". Sollecitato dalla necessità di disporre di un nuovo mezzo espressivo, in quel suo poetare sullo sposalizio dei suoni formulò il sistema delle Scale alternate che, sebbene antistorico, è risultato mezzo efficacissimo espressivo e didattico insieme. Tale intuizione non fu determinata dal desiderio di salvare in extremis il sistema, ma dalla certezza che non fossero esaurite le probabilità di possibilità espressiva di esso. Con il suo amore alla rivelazione musicale del passato, turgida di esigenze per una riproposta analoga nel presente, egli mi ha incoraggiato e aiutato nelle prime esperienze sul Laudario di Cortona e sulla interpretazione dei polifonisti e dell'opera di Frescobaldi. Con il sistema delle Scale alternate mi ha sollecitato all'indagine sul linguaggio musicale nel suo divenire e ha anche influito in modo determinante sul mio tipo di lettura. Vito Frazzi credeva nella funzione umana, personale della musica. Non faceva distinzione fra arte per pochi e arte per molti, ma distingueva tra musica sporca e pulita, cioè tra musica che non si fa o si fa capire, formalmente bene o male articolata; fra musica bene o male strumentata. Ne derivava nel suo magistero la strenua volontà di trasmettere al discepolo i segreti più eletti del "mestiere": il culto per l'esattezza del segno, per l'eleganza del disegno ritmico, per l'efficace scelta della giustapposizione, per la elezione dello strumento con la conseguente urgenza di "simpatizzare" con esso; sua prima cura quella di insegnare non soltanto a comporre, ma anche a conversare in musica.

C. Terni - Ricordo di Vito Frazzi
(da: "Concerto Omaggio a Vito Frazzi"
Comune di Scandicci, 14 ottobre 1979)