VITO FRAZZI
di Carlo Prosperi


Nato il primo agosto 1888 a San Secondo (Parma), Vito Frazzi viene dal popolo, da una modesta famiglia di lavoratori. Da ragazzo, per la sua particolare attitudine alla musica, è inviato al Conservatorio "A. Boito" di Parma, dove si diploma in organo con Galliera nel 1909 e in composizione con Azzoni e Fano nel 1911. Nel 1912 vince la cattedra di pianoforte complementare al Conservatorio "L. Cherubini" di Firenze. Qui nel 1924 passa all'insegnamento dell'armonia e contrappunto e nel 1926 a quello della composizione, cattedra quest'ultima che terrà a lungo fino al 1958. A Siena, dalla fondazione dell' "Accademia Musicale Chigiana", avvenuta nel 1932, il maestro insegna ai corsi di perfezionamento in composizione, corsi che terrà fino al 1963. Una figura, dunque, quella di Vito Frazzi, che per mezzo secolo rappresenta una testimonianza di prestigio nella vita musicale italiana ed un preciso punto di riferimento nella cultura artistica di Firenze e della Toscana. Dopo il 1963, negli ultimi anni della sua vita, il maestro conduce un'esistenza molto ritirata, sempre più estranea e disinteressata alla crescente attività musicale che si sviluppa in Firenze. Una necessità, la sua, dovuta all'avanzare dell'età, ma anche ad un gesto di isolamento contro uno degli aspetti negativi della cultura musicale egemone d'oggi, quello di considerare con scarso interesse gli artisti appartenenti al linguaggio storico italiano compreso tra le due guerre. II sette luglio 1975 Frazzi muore a Firenze pressoché dimenticato dai vari ambienti musicali cittadini, regionali e nazionali. Compositore, didatta, teorico, trascrittore e revisore di musiche antiche, Frazzi nella sua lunga attività militante ha influenzato sensibilmente quanti lo hanno conosciuto: discepoli, colleghi, amici. Il maggior risalto della sua figura spicca, peraltro, nell'autenticità del compositore e nella lunga operosità del docente. Negli anni che seguono subito la prima guerra mondiale, il maestro allarga le sue amicizie con l'ambiente letterario e artistico di Firenze, con Papini, con Cicognani, con Oscar Ghiglia, De Robertis, Dino Campana, Ardengo Soffici ed altri. È un periodo in cui la città appare come centro vivo e fecondo di idee e di rinnovamento nel movimento culturale italiano. In questo ambiente stimolante, egli, insieme con Ildebrando Pizzetti (dal 1909 insegnante di composizione e poi direttore del Conservatorio di Firenze fino al 1926) contribuisce alla nascita d'una rinnovata scuola musicale nella città, prima d'allora rimasta ferma nelle acque stagnanti dell'antico Regio Istituto Musicale. Da Pizzetti prima e più lungamente da Frazzi, poi, è introdotta nell'insegnamento della composizione una visione più informata storicamente, più rigorosa e vigile, più sollecitata alla ricerca e all'inventiva di nuove forme ed esperienze di linguaggio, insomma, un nuovo costume d'impegno e di iniziativa artistica, che fa del maestro di San Secondo il promotore della moderna coscienza compositiva di Firenze, a cui si sono riferite, sia pure attraverso posizioni diversificate di linguaggio, le personalità di Castelnuovo Tedesco, Dallapiccola, Bucchi e Bartolozzi. La produzione musicale di Frazzi va dal 1906 al 1958 e comprende di preferenza lavori improntati alla vocalità (liriche per canto e pianoforte, per canto e orchestra, per coro e orchestra, opere teatrali, musiche di scena, ecc.). Meno abbondante, invece, la produzione strumentale sinfonica e da camera alla quale il maestro attende con la visione della musica a programma (Preludio magico, L'ascolto di Ponte Vecchio, ecc.) contrassegno, questo, che caratterizza il momento strumentale italiano compreso fra le due guerre. La figura artistica di Frazzi, difatti, trova il suo suggello in questo periodo che, se fu denso di effervescenze innovatrici, fu, altresì, particolarmente difficile e critico per l'affermazione nel nostro paese di un nuovo linguaggio musicale, nella simbiosi storica di ripensamenti e di fervori tra il vecchio e il nuovo. In questa dialettica tra la sensibilità del passato e la visione dell'avvenire, propria alla problematica italiana fino alla seconda guerra mondiale, il maestro di San Secondo sembra comporsi dall'accordo di due elementi diversi, da due tesi apparentemente eterogenee che si compenetrano e si integrano a vicenda: venuto dal popolo, egli ne conserva la schiettezza dell'impulso e la fede nel proverbiale valore, ma al contempo egli ama l'interesse dell'indagine in musica e l'eleganza della speculazione intellettuale. La produzione vocale da camera ne è un preciso riferimento. Qui i testi sono in massima parte desunti dalla poesia popolare, come La preghiera di un clefta; i vari Canti popolari toscani; Canti popolari ticinesi; ecc. Oppure tratti dalle poesie del finissimo lirico dialettale napoletano Salvatore Di Giacomo, come Catarì, Catarì e Dint'o ciardino. Di contro la sua musica testimonia una condotta melodica e una fattura armonica di raffinata ricerca e di aggiornamento storico. Frazzi non crede e non usa il folclore che ritiene troppo ingenuo, seppure genuino. In cambio intende esprimere con l'invenzione del proprio linguaggio il sentimento del popolo. Anche nei lavori più ampi per coro e orchestra, come Cicilia, oppure per orchestra, come Dialoghi, proverbi e sentenze, è riscontrabile l'attenzione dell'autore verso il popolo, quale ideale destinatario del suo ricercato discorso musicale. Questa aspirazione si palesa ancor più nel Teatro (dove Frazzi è soprattutto versato) con i lunghi anni dedicati alla gestazione delle opere Re Lear e Don Chisciotte, con la passione e l'amore di chi vuol portare al consumo del popolo la grandezza popolare di Shakespeare e di Cervantes, ma, per contro, creando un linguaggio sonoro moderno, rinnovato dal melodramma romantico, meditato lungamente, insomma agli antipodi di uno spontaneismo melodico ingenuo, facile al consumo di massa. Le opere di Vito Frazzi, nell'arco del teatro italiano del Novecento, trovano il loro posto accanto a quelle dei compositori immediatamente dopo Puccini, della generazione così detta "dell'ottanta", che ebbe Ildebrando Pizzetti, Gian Francesco Malipiero e Alfredo Casella tra i maggiori esponenti. La figura del maestro, vicino a loro, si distacca con voce propria e diversa. All'idea di un rinnovato gusto diatonico del Pizzetti, attinto dalla fonte gregoriana e dal recitar cantando fiorentino, Frazzi crede piuttosto all'irreversibilità storica del sentire cromatico dopo il tardo romanticismo tedesco. Al linguaggio asciutto e inquieto di un Malipiero neo-rinascimentale e ribelle al melodramma italiano, egli contrappone un’ideale continuazione del melos post-romantico, aprendo istintivamente anche ai nuovi orizzonti di quell'espressionismo musicale, il cui significato verrà appreso più tardi dalla cultura italiana. Circa la posizione neo-classica di Casella, improntata al senso di luminosità mediterranea in opposizione all'impressionismo francese, il Nostro, invece, guarda con occhio vivo e interessato alla grande lezione armonica offerta da Debussy. Dal francese, egli apprende che l'interesse musicale al dramma deve essere vitalizzato mediante un tessuto armonico improntato a grande mobilità immaginifica, entro cui possa nutrirsi e sottolinearsi il divenire emotivo dei personaggi e dell'azione. Animato da questi propositi, tra gli anni venti-trenta, durante la lavorazione dell'opera Re Lear, nasce e si sviluppa nella coscienza musicale di Frazzi un particolare gusto armonico, teorizzato poi nel 1930 col nome di Scale alternate. Queste scale, più che portare nuovi materiali sonori alla pratica compositiva del tempo, rappresentano un originale mezzo organizzativo dell'armonia postromantica desunta dall'avanguardia europea fino allora conosciuta. All'epoca in cui esse furono intuite, l'innovazione consisté nel fatto di essere formate da otto suoni diversi, invece che dai sette della tradizione, e di procedere simmetricamente semitono-tono, oppure tono-semitono, annullando l'attrazione di un suono preferenziale sugli altri e, quindi, la determinazione di un centro tonale prestabilito. Eravamo alle porte di quel nuovo sentire "atonale", ancora sconosciuto in Italia, che più tardi avrebbe coinvolto tutta la cultura musicale dell'occidente europeo. Frazzi lo intuì per primo, da noi, dischiudendo quelle porte senza tuttavia volerle oltrepassare. La sua sensibilità restò fedele ai valori storici della tradizione "tonale" nel cui mondo egli riusciva a scoprire nuovi spazi musicali. II suo sistema alternato, pertanto, rappresenta un particolare ambiente armonico a sé stante, a ponte tra il cromatismo tardo romantico e la nuova sensibilità "atonale", ed in questo incontro tra la radice della tradizione ed il presagio del futuro risiede il linguaggio e la personalità artistica del maestro. Musicista "di razza", armonista squisito, artigiano prezioso, Vito Frazzi è un compositore oggi quasi del tutto dimenticato dalla cultura locale e sconosciuto alla critica italiana. Egli merita, invece, ben altra attenzione per una conveniente visione della sua opera e per una appropriata collocazione tra i musicisti del suo tempo. Le ragioni di tutto ciò vanno ricercate principalmente, come abbiamo già detto, nel costume odierno della politica programmatica, intesa a negligere la produzione musicale italiana tra le due guerre. Ne consegue l'istintiva preferenza verso l'importazione alienìgena ed il complesso di diffidenza verso la produzione locale, complesso che si ripercuote nelle manifestazioni a vario livello, regionali e nazionali. All'iniziativa del Comune di Scandicci e, particolarmente, al centro dell'Arte "Vito Frazzi", va il merito di aver risposto per primi a queste pregiudiziali, intitolando le proprie attività musicali a un nome che rende onore alla civiltà artistica di Firenze.

C. Prosperi - Vito Frazzi
(da: "Concerto Omaggio a Vito Frazzi"
Comune di Scandicci, 14 ottobre 1979)