UN NONNO UN PO' SPECIALE
di Vito Nanni


"Ebbene, io oserei giurare - esclamò Don Chisciotte - che lei non è arrivato alla celebrità. Perché il mondo è sempre restio a ricompensare i floridi ingegni e le lodevoli fatiche". (Miguel Cervantes : Don Chisciotte capitolo LXII) Sarebbe più facile, per me, parlare di un altro musicista perché quando ripenso al mio nonno non posso fare a meno di provare una nostalgia terribile: non è un dolore acuto ma il senso di una mancanza, di un vuoto, che , da quando è morto, non si è più colmato. Questo spiega anche il ritegno che ho avuto nello scrivere queste note che saranno un po' discontinue e alterne ma che tenteranno di far capire il debito grandissimo che io ho contratto verso di lui. Innanzitutto egli è stato un nonno "ingenioso" (come il suo eroe) e immaginifico quant'altri mai, che mi ha comunicato una gioia di vivere stupenda e mi ha fatto conoscere le meraviglie della musica e della fantasia. Mi pare, come se fosse ora, una sera nella sua camera da letto alla pensione delle sorelle Taliani a Siena, in Via Montanini. Io, bambino, ero lì in visita da lui con la mamma, d'estate. Lui, dopo aver dato lezione tutto il giorno all'Accademia Chigiana, dove insegnava Composizione, mi mette a letto dopo cena e per farmi addormentare inizia a raccontarmi una favola… Io non ricordo la trama della favola ma sembrava che avesse preso spunto dalla "Morfologia della fiaba" di Propp perché evocava fate, principi, draghi, castelli con una incredibile varietà di situazioni. Portava avanti il racconto con una quantità enorme di "fili", poi sul più bello mi faceva: "Ora, se dormi, domani sera ti narro il seguito". Le proteste erano inutili, lui fermissimo taceva fino alla sera dopo incurante di ogni protesta. L'indomani, alla stessa ora, riprendeva il filo del racconto senza che io gli ricordassi niente e riprendeva a tessere quel suo meraviglioso arazzo dal quale io ero come stregato. Questo era mio nonno: un uomo estremamente affettuoso e uno straordinario intrattenitore di bambini perché possedeva il dono di catturare l'attenzione e di scatenare la fantasia dell'ascoltatore. Quando poi sono diventato grande, è stata la persona che mi ha condotto per mano alla scoperta del meraviglioso mondo della musica anche attraverso i suoi autori prediletti: Franck, Debussy, Ravel e gli operisti italiani, Verdi soprattutto. Avevo circa vent'anni, ricordo, e scoprii Wagner e il Tristano sempre su sua indicazione perché mi aveva messo in mano l'epistolario tra l'autore tedesco e Matilde Wesendonck, sua musa ispiratrice. Fu una specie di rivelazione: tentai di leggere lo spartito del Tristano (con scarsi risultati), ma rimasi talmente affascinato che mi trasformai in un "perfetto wagneriano". Qualche tempo dopo, non so come, discutevamo di quale fosse l'operista più importante dell'Ottocento: io sostenevo, naturalmente, che era Wagner e tentavo di farlo adducendo motivi filosofici, letterari e musicali. Ad un tratto, lapidario come il suo solito mi disse: "E' naturale, a vent'anni tutti siamo wagneriani perché ci sentiamo rivoluzionari, ma Verdi è riuscito a raggiungere risultati uguali con un minor dispendio di mezzi". Detto ciò andò al pianoforte e mi fece sentire sia il duetto del Tristano che il duetto della Traviata cantandoli entrambi e ricordo che restai senza parole a riflettere profondamente. Sapevo che aveva ragione lui ma, allora, non lo volli ammettere. La cosa che colpiva era la sua stupefacente memoria musicale che gli permetteva di conoscere e citare con senso infallibile lo "stile" di un autore. Vorrei ricordare un ultimo esempio di questa capacità "mimetica" di calarsi nel mondo di un autore ricordando il momento in cui stava lavorando alla revisione del "Don Sebastiano" di Donizetti. Aveva trovato alla fine o all'inizio di un recitativo dell'opera una linea melodica composta di tre o quattro battute, un micro-frammento, che accompagnava un personaggio. Dato che doveva ricostruire anche i balletti e nei manoscritti allora in suo possesso c'erano delle lacune, prese spunto da quel tema molto breve, lo ampliò sostenendolo con una splendida armonizzazione (e orchestrazione) che lo trasformò proprio in quella parte mancante del balletto. Il risultato finale fu una pagina bellissima sorprendentemente "donizettiana" che ebbi il privilegio di ascoltare per primo, visto che mi scelse come "primo giudice" di quella sua realizzazione. Io spero che l'opera così vasta e complessa del mio nonno possa essere conosciuta e apprezzata meglio perché mi dispiace che uno degli esponenti più importanti della "generazione dell'Ottanta", che ha contribuito a svecchiare la musica in Italia,soffra di un oblio così prolungato e ingiusto. A me personalmente resta la grande soddisfazione di "sentirlo" quasi fisicamente vicino, quando, da "desocupado lector", prendo una sua pagina e la suono.

Firenze, 3 Novembre 2003
Vito Nanni